Armando Tripodi

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Autore: Armando Tripodi
29/04/2024
I farmaci non trasfusionali per il trattamento dell’emofilia. Parte II. Monitoraggio

Nel precedente post abbiamo discusso le caratteristiche dei nuovi farmaci non-trasfusionali per il trattamento dell’emofilia. Occupiamoci adesso del ruolo che il laboratorio può giocare nel loro monitoraggio.
Questi farmaci sono stati indagati negli studi clinici di fase 3 mediante somministrazione a dose fissa, senza aggiustamento posologico tramite test di laboratorio. Questa modalità di somministrazione si è rivelata efficace e sicura. Pertanto, a stretto rigore, il trattamento dei pazienti non richiede un supporto attivo da parte del laboratorio. Tuttavia, pensare che il laboratorio non abbia alcun ruolo è sbagliato. Difatti, vi sono particolari occasioni (v. oltre) dove il laboratorio può essere di valido aiuto per il clinico che gestisce questi pazienti. Vediamo di seguito cosa è possibile fare.
Emicizumab. Essendo un mimetico del FVIII, l’effetto procoagulante di emicizumab può essere valutato con un semplice aPTT. Difatti, l’aPTT è prolungato nell’emofilico e ci si aspetta che l’aggiunta di emicizumab lo accorci. In effetti, questo si verifica, ma l’aPTT si normalizza completamente quando è presente una concentrazione di emicizumab pari a 5 µg/mL. Questo dato però contrasta con il fatto che un paziente in profilassi con dosi standard di emicizumab presenta concentrazioni plasmatiche di emicizumab molto superiori (40-80 µg/mL). Pertanto, l’aPTT sarebbe inutile per il monitoraggio del farmaco, perché sarebbe normale a concentrazioni nettamente inferiori a quelle presenti nel plasma del paziente.
La capacità procoagulante di emicizumab potrebbe essere valutata mediante una misura del FVIII con metodo tradizionale, che impiega aPTT e plasma carente di FVIII, che per comodità possiamo chiamare attività di FVIII-like. Tuttavia, poiché emicizumab, a differenza del FVIII, è già attivo, la misura di attività che ne risulta è estremamente elevata. Come detto un paziente in profilassi con emicizumab alle dosi standard comporta una concentrazione del farmaco nel plasma che varia da 40 a 80 µg/mL Dati sperimentali dimostrano però che bastano appena 5 µg/mL di emicizumab, aggiunti al plasma emofilico, per ottenere una attività FVIII-like pari o superiore a 150 U/dL. Evidentemente questa attività non corrisponde alla reale capacità emostatica del paziente e, pertanto, questo tipo di misura (come pure quella dell’aPTT) sarebbe fuorviante e confondente, perché potrebbe dare una rassicurazione sulla capacità emostatica del paziente che in realtà non c’è.
Il metodo tradizionale per la misura del FVIII può comunque essere usato per la valutazione di emicizumab, mediante opportune modifiche che lo rendano meno sensibile. Ad esempio, diluizioni iniziali del plasma più alte, rispetto a quelle usate nella metodica tradizionale, ed estensione del tempo di acquisizione del coagulometro, rendono lo stesso metodo adeguato alla misura della concentrazione di emicizumab nel plasma.
I risultati del test possono essere espressi in concentrazione (µg/mL) mediante curve di calibrazione costruite con uno standard di emicizumab a concentrazione nota.
Un’altra modalità per misurare la concentrazione plasmatica di emicizumab potrebbe essere l’impiego di test cromogenici per la misura del FVIII. Questi metodi opportunamente modificati presentano una adeguata sensibilità per la misura. Va però ricordato che emicizumab ha una azione specie-specifica. In altre parole, riconosce solo i fattori di origine umana, ma non quelli di origine bovina. Pertanto, nella misura con metodo cromogenico, i reagenti accessori devono essere di origine umana.
Tuttavia, la specie-specificità di emicizumab permette di risolvere un altro problema. Sovente i pazienti in profilassi con emicizumab presentano l’inibitore contro il FVIII. In queste circostanze la misura del titolo dell’inibitore (utile a fini del trattamento), se eseguita con metodica tradizionale (Bethesda), darebbe risultati falsamente negativi, a causa dell’interferenza di emicizumab. Ancora, là dove il paziente in profilassi con emicizumab dovesse necessitare un trattamento sostitutivo con concentrati di FVIII, la misura del FVIII, necessaria per regolare la dose, risentirebbe dell’azione di emicizumab. In entrambi i casi il problema può essere risolto impiegando metodi cromogenici per la misura dell’inibitore o del FVIII, che usano reagenti bovini, insensibili a emicizumab.
Infine, la capacità procoagulante di emicizumab può essere valutata mediante procedure globali quali la generazione della trombina o la viscoelastometria su sangue intero.
Fitusiran. L’azione procoagulante del farmaco si estrinseca mediante l’inibizione controllata dell’espressione dell’antitrombina. In un paziente in trattamento a dosi standard di fitusiran i livelli di antitrombina che si raggiungono variano da 30 a 15 U/dL. Questi valori sono relativamente bassi e potrebbero determinare un rischio trombotico.
A stretto rigore esisterebbero due modalità per valutare questo farmaco. La misura dell’antitrombina residua a seguito del trattamento e/o la misura della generazione della trombina o viscoelastometria.
Concizumab. L’azione procoagulante del farmaco si estrinseca mediante l’inibizione controllata del TFPI. A stretto rigore esisterebbero due modalità per valutare questo farmaco. La misura del TFPI residuo, a seguito del trattamento e/o la misura della generazione della trombina o viscoelastometria su sangue intero.
Quando potrebbe essere utile eseguire un monitoraggio di laboratorio dei farmaci non-trasfusionali per l’emofilia? Esistono svariate situazioni dove l’intervento del laboratorio potrebbe essere utile. Ad esempio, (i) nel controllo occasionale dell’aderenza alla terapia. Misure occasionali nel corso della profilassi potrebbero identificare mancate aderenze terapeutiche e predisporre interventi adeguati a prevenirle. (ii) Dubbi sulla attività funzionale del farmaco. Esempio tipico è la rara presenza di anticorpi contro emicizumab, che taluni pazienti sviluppano nel corso del trattamento. In questi casi una misura della concentrazione plasmatica del farmaco, e/o dell’aPTT, potrebbero allertare il medico che il farmaco somministrato potrebbe non avere effetto. (iii) Infine, pazienti particolari per i quali la dose fissa, per qualche motivo, non è efficace. L’uso su larga scala di questi farmaci, che si prevede si estenderà a breve a tutta la popolazione emofilica, ci dirà in quali casi il laboratorio sarà utile nel monitoraggio dei pazienti.

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