Armando Tripodi

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Autore: Armando Tripodi
18/06/2024
Necessità di introdurre in coagulazione la ricerca per i seguenti polimorfismi genetici: Fattore V Leiden; Polimorfismo fattore II; Omocisteina; Polimorfismi Fattore VII; Polimorfismo MTHFR

Esistono kit diagnostici, commercialmente disponibili, di relativo facile uso per identificare i polimorfismi oggetto di questo post. Tuttavia, il loro valore clinico, ad eccezione del fattore V Leiden e del fattore II, è molto discutibile. Sebbene esistano studi che hanno assegnato a questi polimorfismi un qualche significato in termini di rischio relativo per trombosi, altri studi non lo hanno confermato. In ogni caso, la loro ricerca nel singolo paziente non è, al momento, di particolare aiuto per definire il rischio trombotico. Anche se questi polimorfismi avessero un reale significato per la trombosi, il loro uso nella pratica clinica sarebbe giustificato solo se si conoscesse per ciascuno di essi il rischio relativo di trombosi nei soggetti portatori. Cosa che non è sempre nota, a causa del fatto che per la loro determinazione sarebbero necessari studi clinici prospettici con grandi numeri che, al momento, non ci sono. Inoltre, per ottenere un profilo di rischio attendibile, dovremmo conoscere le interazioni fra i diversi polimorfismi (additive o moltiplicative?), cosa che al momento non è possibile. Forse l’intelligenza artificiale ci potrà aiutare, ma per questo ci vuole tempo e ricerca. Pertanto, al momento, la loro introduzione nello studio dei pazienti con pregressa storia trombotica (tanto meno nella popolazione generale) non è giustificabile. D’altro canto, il loro uso indiscriminato potrebbe creare un (inutile) aumento dei costi e situazioni di ansietà difficilmente giustificabili, se si considera il loro valore clinico.
Un discorso a parte merita la misura dell’omocisteina. Essa è consigliata (anche se non da tutti eseguita) nei pazienti con pregressa storia trombotica (venosa e/o arteriosa), sia a digiuno che dopo carico orale di metionina. La misura si può effettuare mediante tecnica HPLC. Tuttavia, a causa del costo di questa attrezzatura, è preferibile usare metodi immunoenzimatici, per i quali esistono kit diagnostici abbastanza affidabili.

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