Molti clinici prescrivono la diagnostica di laboratorio del LA anche se il paziente è anticoagulato e molti laboratori la eseguono. Gli uni e gli altri sono, a volte, coscienti del rischio di incorrere in una diagnosi errata, ma altri non si pongono il problema e interpretano (forniscono) i risultati, come se l’anticoagulazione non interferisse con la diagnosi.
Nel post che ho scelto per voi discuteremo i problemi che si possono riscontrare in questa situazione.
Anzitutto, vediamo perché sarebbe importante fare la diagnostica di laboratorio del LA durante l’anticoagulazione. Per essere chiaro mi servirò di un esempio. Pensiamo a un paziente che si presenta al pronto soccorso con sintomi di tromboembolismo venoso (TEV). Nel caso in cui la diagnosi è confermata, il paziente sarà trattato da subito probabilmente con un anticoagulante orale diretto (DOAC), oppure con eparina a basso peso molecolare (EBPM) e, a seguire, con un DOAC o con il coumadin. Questo indipendentemente dalla causa che ha determinato il TEV. Dagli studi degli ultimi anni, sappiamo però che se il TEV è stato determinato dalla sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) con triplice positività per i tre cardini della diagnostica (presenza del LA e concomitante presenza di anti-cardiolipina e anti-β2-GPI), il paziente non si gioverà dell’anticoagulazione con i DOAC, ma con l’anticoagulazione mediante coumadin.
A seguito di tali studi, le autorità regolatorie hanno diramato una avvertenza, nella quale, nei pazienti con triplice positività, sconsigliano l’uso dei DOAC e raccomandano il coumadin. Importante notare come l’avvertenza non si estende alle singole o doppie positività, perché non esistono studi in proposito. Si capisce allora, quanto sia importante fare subito la diagnostica per la triplice positività. Se questa risulta positiva, il paziente deve iniziare subito il coumadin e se è già in DOAC deve passare a coumadin.
Però abbiamo precedetemene detto che la diagnostica di triplice APS in corso di anticoagulazione è complicata. Vediamo perché.
Tutti gli anticoagulanti [eparina non frazionata (ENF), EBPM, DOAC e coumadin] allungano i test di coagulazione (aPTT e dRVVT) usati per il LA. Questo comporta, che interpretare i test del LA (screening, miscela e conferma) in corso di anticoagulazione non è semplice, perché i risultati potrebbero dipendere dall’azione combinata del LA e dei farmaci anticoagulanti. Cosa diversa sarebbe per l’anti-cardiolipina e anti-β2-GPI, perché questi test sono immunochimici e, come tali, non risentono dell’azione degli anticoagulanti. Ma noi per la triplice abbiamo bisogno di tutti e tre.
Vediamo quali sono gli effetti dei diversi anticoagulanti sulla diagnostica del LA e quali sono le possibili soluzioni.
Eparina non frazionata (ENF). Allunga aPTT e dRVVT, ma molti reagenti del commercio, espressamente dedicati alla diagnostica del LA, contengono nella loro composizione il polybrene, una sostanza che neutralizza l’effetto della ENF fino a 1 U mL, che rappresenta approssimativamente la quantità massima contenuta nel plasma di un paziente in trattamento per il TEV. In questo caso, non ci sarà alcun effetto e la diagnostica del LA è possibile. Bisogna allora leggere il foglio illustrativo che accompagna il reagente per capire se c’è non c’è il polybrene.
Eparina a basso peso molecolare (EBPM). È il caso più semplice e con minori complicazioni. EBPM allunga aPTT e dRVVT, ma assai meno rispetto alla ENF e, quando questo accade, il prolungamento dipende dal tipo di EBPM che si usa. Sarebbe quindi opportuno verificare, una volta per tutte, quale è l’effetto della EBPM che è usata nel reparto del proprio ospedale sul proprio aPTT e dRVVT. Questo si ottiene aggiungendo una quantità di EBPM equivalente a quella contenuta nel plasma di un paziente in trattamento, verificando poi se allunga o meno aPTT e dRVVT. In molti casi si giunge alla conclusione che non c’è alcun effetto e se c’è, è molto modesto. In ogni caso, per limitare i danni, è sempre consigliabile fare eseguire il prelievo per LA nel momento in cui l’EBPM è a valori di valle (3.4 ore dopo la somministrazione e prima della successiva).
Coumadin. Allunga sempre aPTT e dRVVT. Eseguire la diagnostica del LA ignorando questo semplice fatto, equivale a dire che il risultato (positivo o negativo che sia), è gravato da una forte incertezza. Taluni suggeriscono di diluire il plasma paziente in una equivalente quantità di plasma normale ed eseguire su questa miscela la diagnostica del LA. Il razionale di questa procedura consiste nel fatto che la miscela porterebbe ad una correzione del difetto indotto dal coumadin, almeno parziale, ma sufficiente per normalizzare i valori di base della coagulazione, lasciando inalterata la presenza del LA. In pratica ci sono però due problemi. Primo l’entità della correzione dipende dalla composizione del reagente aPTT e dRVVT e non è sempre prevedibile. Secondo, con questa manovra il LA nel paziente è diluito (per definizione) al 50%i, rispetto al suo valore iniziale. Va da sé, che se la sua potenza iniziale fosse bassa, con la diluzione lo diventa ancora di più e potrebbe essere perso alla diagnosi. Questa manovra è quindi complicata e non priva di inconvenienti. Una alternativa riportata in letteratura è l’uso di test per il LA che impiegano due veleni di rettile (Taipan ed Ecarina). Studi collaborativi hanno fatto intravedere la possibilità di un loro utilizzo nei pazienti in coumadin, ma non esistono kit commerciali standardizzati e il loro impiego nel laboratorio generale non è facilmente praticabile.
Anticoagulanti orali diretti (DOAC). Allungano aPTT e dRVVT e la miscela con plasma normale non ha effetto sulla correzione del difetto indotto dai DOAC. D’altro canto, effettuare la diagnostica, comporta la quasi certezza che il risultato sarà un (falso) positivo per il LA, specie se l’anticoagulante è Rivaroxaban e il test è il dRVVT. C’è però la possibilità di eliminare il DOAC presente nel plasma, mescolandolo con carbone attivo (DOAC-stop o DOAC-remove), che ha la proprietà di adsorbire sulla sua superfice i DOAC. Dopo una breve incubazione, il plasma viene centrifugato e sul supernatante (privo dei DOAC) si può eseguire la diagnostica del LA. Questa procedura è stata validata per la capacità di eliminare tutti i DOAC dal plasma. Esistono residui dubbi sul fatto che occasionalmente, oltre ai DOAC, il carbone possa rimuovere alcuni fattori pro- e/o anticoagulanti, alterando così il plasma. Tale possibilità non è prevedibile a priori. Pertanto, esiste, sebbene in maniera limitata, la possibilità di falsi positivi o negativi. Importante notare come il carbone attivo non sia efficace nel paziente in coumadin o in ENF/EPBM.
In conclusione, la diagnostica del LA in corso di anticoagulazione, ancorché necessaria, è gravata dal rischio di incorrere in incertezze diagnostiche. Questi aspetti dovrebbero essere considerati con molta attenzione dai prescrittori e dagli esecutori dei test.
Nella pratica un espediente utile potrebbe essere l’esecuzione del test per anti-cardiolipina e anti-β2-GPI, che non sono inficiati dall’anticoagulazione. Se uno o ambedue i test sono negativi, il paziente (per definizione), anche se fosse positivo per il LA, non sarebbe classificabile come triplo APS e potrebbe, pertanto, essere trattato con DOAC. Se entrambi i test anti-cardiolipina e anti-β2-GPI fossero positivi, allora diventa dirimente la ricerca del LA. Un escamotage potrebbe essere la determinazione degli anticorpi anti-PS/PT (antifosfatidil-serina/protrombina), che taluni autori riportano essere associati al LA. Se questo test fosse positivo, ci sono buone probabilità che anche il LA sia positivo. Il paziente sarebbe triplo positivo e dovrebbe essere cautelativamente trattato con coumadin.
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