L’eparina non frazionata per il trattamento del tromboembolismo venoso è riservata a un limitato numero di pazienti. Tuttavia, quando necessaria, richiede un monitoraggio di laboratorio perché, a differenza di quella a basso peso molecolare, non può essere somministrata a dosi fisse. Uno dei test storicamente usati per il monitoraggio è l’aPTT, con risultato espresso come rapporto fra l’aPTT del paziente in trattamento e quello di un controllo normale, oppure (se disponibile) quello del paziente prima del trattamento. L’aPTT È semplice e veloce da eseguire ed è prontamente disponibile in tutti i laboratori. Tuttavia, come determinare il valore dell’aPTT da tenere nei pazienti in trattamento (intervallo terapeutico), è poco chiaro.
Secondo uno studio dei primi anni ’70 del secolo scorso, la quantità di eparina non frazionata da somministrare ad un paziente in trattamento per trombosi venosa acuta doveva essere tale da prolungare l’aPTT da 1.5 a 2.5 volte il valore di base, che corrispondeva ad una concentrazione di eparina pari a 0.2-0.4 U/mL, quando titolata con solfato di protamina. Effettivamente quell’intervallo era efficace e sicuro, ma lo era solo per quel particolare reagente. Difatti, come è ovvio aspettarsi, poiché i reagenti aPTT del commercio mostrano una diversa sensibilità all’eparina, anche l’intervallo terapeutico varierà di conseguenza. Generalizzare quindi l’intervallo terapeutico 1.5-2.5 a tutti i reagenti aPTT del commercio è inadeguato, oltre che potenzialmente pericoloso, perché potrebbe esporre il paziente ad un elevato rischio emorragico o di recidiva trombotica. È facile capire che un reagente poco sensibile, produce un prolungamento dell’aPTT di 2.5 volte solo a concentrazioni elevate di eparina, esponendo quindi il paziente ad un elevato rischio emorragico. Di contro, un reagente molto sensibile produrrà un allungamento di 2.5 con concentrazioni modeste di eparina, che potrebbero pertanto essere non ottimali esponendo il paziente a rischio di recidiva trombotica.
Ovviare a questo problema non è facile perché non esiste per l’aPTT una standardizzazione paragonabile a quella del PT-INR. L’unico modo praticabile è quello di determinare localmente l’intervallo terapeutico appropriato per il proprio aPTT. Come fare?
Il metodo migliore sarebbe quello di disporre del plasma di pazienti correttamente eparinati, sui quali eseguire l’aPTT con il reagente da calibrare e determinare contemporaneamente i livelli di eparina mediante titolazione con solfato di portamina. Le due coppie di valori possono essere messe in grafico e, dopo avere documentato che ci sia correlazione, si può tracciare la retta di regressione e estrapolare graficamente l’intervallo terapeutico che corrisponde alle concentrazioni di eparina 0.2-04 U/mL. ?
Purtroppo, la titolazione con solfato di portamina è piuttosto complicata e quindi di difficile realizzazione. Un’alternativa potrebbe essere il metodo di cui sopra, ma con l’eparina titolata con metodo cromogenico anti-FXa. In questo caso l’intervallo terapeutico dell’aPTT può essere considerato quello corrispondente a 0.4-0.7 U/mL. ?
Una ulteriore alternativa, praticabile nel caso si disponga di un reagente aPTT, per il quale è noto l’intervallo terapeutico, sarebbe quella di usare il metodo di cui sopra, mettendo in relazione gli aPTT con i due reagenti. In questo caso l’intervallo terapeutico del nuovo reagente si deriva graficamente rispetto a quello del vecchio. Quest’ultimo metodo è molto utile quando si decide, per qualche motivo, di cambiare reagente e non si vuole perdere l’esperienza accumulata con il reagente precedente. ?
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