Autore: Armando Tripodi
08/11/2023
Quali sono le ragioni che sconsigliano l’uso dell’espressione in attività percentuale del tempo di protrombina (PT)
Questa espressione del risultato del PT è un residuo del passato, usato ancora solo in Italia e dovrebbe essere abbandonato. Le ragioni sono varie e possono essere così riassunte.
- La curva dose-risposta utilizzata per estrapolare i risultati è ottenuta misurando il PT (secondi) su diluizioni scalari di un pool di plasmi normali (assunto come 100%) e riportando in un sistema di assi i tempi di coagulazione contro le rispettive percentuali di attività. Nonostante gli artifici matematici, le curve dose-risposta di quasi tutti i sistemi sono iperboliche. Ne deriva che esse presentano una discreta pendenza solo nella parte centrale (attività 50-80%), mentre a livelli bassi di attività (quelle che interessano la terapia anticoagulante con dicumarolici), la curva è talmente ripida che a grandi variazioni nel tempo di coagulazione si accompagnano variazioni molto piccole nella percentuale di attività. Ciò equivale a dire che anche in presenza di cospicue variazioni nell’intensità di anticoagulazione, l’attività percentuale resta praticamente immodificata rendendo, pertanto, difficile l’aggiustamento fine della terapia. L’esatto contrario si verifica a livelli alti di attività percentuale. Per valori attorno al 100% la curva è parallela all’asse orizzontale. Ciò equivale a dire che in presenza di piccole variazioni del tempo di coagulazione si avranno grandi variazioni dell’attività percentuale.
- Le curve dose-risposta costruite con plasma normale di soggetti diversi, possono presentare pendenze diverse, pertanto l’estrapolazione dei risultati di singoli pazienti su una curva derivata da un pool di plasmi normali non è rappresentativa della situazione individuale.
- Idealmente le diluizioni del pool di plasmi normali dovrebbero essere effettuate con un plasma adsorbito (carente nei fattori vitamina K dipendenti). Solo così il tempo di coagulazione dipenderebbe dai fattori depressi dalla terapia anticoagulante orale con dicumarolici. Come si sa ciò non viene mai fatto per evidenti motivi di praticità e costi. La diluizione in soluzione fisiologica, o tampone porta ad una diluizione anche dei fattori non vitamina K dipendenti (fibrinogeno e fattore V), che nel paziente anticoagulato sono normali. Si crea, pertanto, una situazione di discrepanza fra la curva dose-risposta e il plasma del paziente.
- L’uso dell’espressione in percento (a differenza dell’INR) non minimizza la diversa sensibilità dei reagenti commerciali al difetto indotto dalla terapia anticoagulante orale con dicumarolici. Pertanto, l’uso dell’attività percentuale rende di fatto impossibile l’adozione da parte dei clinici dei range terapeutici “universali” stabiliti con gli studi clinici. In tali studi è stato usato l’INR perchè costituisce la scala di valori ragionevolmente comune a tutti i reagenti. Pertanto, un range terapeutico espresso in INR può essere applicato indipendentemente dal reagente usato. Con la percentuale di attività ciò sarebbe impossibile. Bisognerebbe individualizzarlo per ciascun reagente!
I motivi elencati e brevemente discussi sono da soli sufficienti per convincere il laboratorio a non misurare il valore del PT in attività percentuale ed eliminare questa modalità di espressione dai referti analitici, retaggio del passato e senza una specifica utilità, che esiste solo nel nostro Paese. La scusa che “i medici prescrittori la vogliono” mortifica l’autorevolezza/indipendenza del laboratorio. Il consiglio è di refertare il PT in rapporto (PTpaziente/PTnormale) per tutte le condizioni al di fuori della terapia anticoagulante orale con dicumarolici e utilizzare l’INR solo per questi ultimi.